La lotta del Comitato Difesa Sanità Pubblica dalle parole di Alessandro Scattolo
Presentaci la tua realtà
Il Comitato Difesa Sanità Pubblica è nato dall'esigenza di fare rete tra i militanti politici del basso Garda, anche attivisti, cani sciolti con però l'intenzione / la prospettiva di riuscire a raccogliere anche persone non appartenenti ad un determinato schieramento politico. Quindi la nostra idea è stata quella di non costituire un coordinamento e una sommatoria di realtà politiche, ma un comitato dove innanzitutto si potevano riconoscere quei cani sciolti, quegli attivisti che c'erano sul territorio e volevano affrontare il tema della sanità e di quello che stava succedendo con la pandemia; ma poi anche con la possibilità di raccogliere altre persone.
Ci siamo costituiti dopo il primo lockdown del 2020, quando avevamo assistito sgomenti alla crescita dei contagi e dei decessi della prima ondata, e a quello che era stato il collasso della sanità lombarda. Quindi abbiamo poi espresso questa nostra esigenza di affrontare quello che stava succedendo con un presidio organizzato a fine giugno con le parole d'ordine “Difendiamo la sanità pubblica xxxxxx” . Per noi era necessario scendere in piazza e portare una denuncia politica, un punto di vista alternativo alla narrazione dominante, su quanto era successo e su quanto stava accadendo.
Quali sono le tre rivendicazioni principali della vostra lotta?
Restando su un aspetto concreto sicuramente un ripristino e un rafforzamento in prospettiva della medicina territoriale. Medicina territoriale vuol dire capillarità della cura e della salute: se avessimo avuto una medicina territoriale, parlo per la Lombardia, ci sarebbe stato un controllo della diffusione dei contagi e credo una cura anche domiciliare.
Poi un rafforzamento del personale sanitario e delle strutture, per i pazienti e per alleggerire il carico di lavoro degli operatori.
Queste due si collegano alla terza pià generale che è la rivendicazione di una vera sanità pubblica e universale perché risponde a un diritto alla salute che va garantito a tutte le soggettività e quindi non può essere subordinato a chi segue una logica privatistica del profitto. Ciò però vuol dire un completo cambiamento di paradigma, una rottura del sistema basato sulla proprietà privata.
Quali metodologie ritieni necessarie per la vostra lotta?
La lotta deve essere misurata sulle condizioni dalle quali nasce, tra le varie ci sono le forze che si dispongono e anche la coscienza delle persone. Se questa è elevata si può attivarsi con operazioni e mobilitazioni pratiche, se invece la coscienza è bassa bisogna partire da un lavoro di informazione e sensibilizzazione e di denuncia pubblica attraverso i media.
Tuttavia va ricordata una cosa: la sanità ha due fronti uno interno e uno esterno. Quello interno è quello dei lavoratori e delle lavoratrici che offrono e garantiscono un servizio e spesso sono ovviamente vessate,comandate da dirigenti che fanno i loro interessi e seguono il profitto di qualcuno. Il fronte esterno invece è quello della popolazione, cioè di quelli che usufruiscono del servizio.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di riuscire a costruire dei fronti unitari e riuscire a raggiungere l’unità tra lavoratrici, lavoratori e persone che lottano per avere una sanità dignitosa. Per fare questo secondo noi è importante favorire al massimo la partecipazione, allargare il più possibile la mobilitazione e ciò si ottiene muovendo gli organismi che abbiano almeno la potenzialità di accogliere più persone possibili che condividono però l’obiettivo specifico.
Cosa vi aspettate dai congressi per la salute?
Mi aspetto che ci sia una capacità di fare sintesi e di fare anche delle proposte pratiche di mobilitazione. è un congresso così numeroso da un lato è una sfida, perché bisogna riuscire a tenere unite queste realtà diverse e c’è il rischio che diventi una semplice carrellata di interventi che non portano a niente, allo stesso tempo c’è la possibilità di creare un coordinamento su tutto il territorio in grado di fare la differenza.