Raccolta degli interventi che si sono succeduti il 27 giugno 2020 durante l'assemblea pubblica in piazza Vittoria, Brescia.
Riportiamo di seguito solo una parte della prefazione, in fondo alla pagina il link al Dossier completo.
Questa è una sorta di cronaca a più voci del disastro sanitario ed economico che la pandemia da virus Sars-Cov-2 ha scatenato in Brescia e Provincia. Questa è la storia di una società che rotola e cade velocemente mostrando le sue ambiguità. La fragilità sanitaria del “Sistema Lombardia” si è mostrata in tutta la sua drammaticità, così come la regionalizzazione della sanità voluta e votata nel 1997 per legge nazionale. Parlare di disastro, solamente, con un tempo passato sarebbe un grave errore, i problemi economici, sociali e sanitari stanno segnando, ancora oggi, il territorio bresciano, così come quello italiano e di ogni Paese dove il Covid-19 ha fatto cadere la maschera della democrazia dal volto del sistema dominante.
Quanto è accaduto, sta accadendo, e (sperando che non sia così) potrebbe accadere è stato raccontato in un’assemblea pubblica, in piazza Vittoria, il 27 giugno del 2020 a Brescia. Gli atti di quella giornata sono diventati lo scheletro della denuncia che il nostro “dossier” racchiude.
Nella sola Regione Lombardia sono morte ufficialmente più di 16 mila persone, oltre 35 mila in tutta Italia.
Sempre secondo i dati ufficiali si sono ammalate oltre 240 mila persone in tutto il Paese, e circa la metà nella nostra Regione. Sicuramente i numeri reali sono superiori rispetto a vittime e contagi ufficiali, sia in Italia che nel nostro territorio. L’assenza di un piano di screening, analisi e mappatura del territorio è alla base di quanto accaduto ma anche di quanto potrebbe accadere davanti ad una nuova epidemia.
Le conseguenze catastrofiche della diffusione del virus ci sono state raccontate perlopiù come una tragica, terribile fatalità. Tuttavia un numero così elevato di decessi e contagi, in particolare in Lombardia, è dovuto alla gestione disastrosa e criminale dell’emergenza sanitaria da parte delle istituzioni preposte, su tutte la giunta regionale Fontana-Gallera, nonché da un recente passato fatto di tagli alla sanità pubblica, privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale e smantellamento della sanità territoriale.
Non è un caso che la Regione Lombardia rappresenti il fiore all’occhiello per questi processi di svendita verso privati e i loro profitti; dalle mancate zone rosse di Alzano, Nembro e Orzinuovi fino alla strage nelle RSA (2200 i morti nelle RSA di Brescia e pro-vincia, di cui almeno il 60% direttamente per Covid-19); dalla mancata chiusura reale delle filiere lavorative non essenziali alla mancanza di tamponi; dall’assenza di dispo-sitivi di protezione individuale per personale sanitario e cittadini/e fino alla mancanza di posti nelle terapie intensive e alla sospensione dei servizi sanitari non Covid-19, per arrivare, oggi, alla mancanza di forme sufficienti di sostegno economico e sociale per chi, dopo il lockdown, è in forte difficoltà.
La pandemia ha smascherato non solo le criticità del sistema sanitario, ma in generale la violenza e l’iniquità di un’organizzazione sociale, politica ed economica che non è più sostenibile né tollerabile. Il “Lockdown” in Lombardia non c’è mai stato davvero, il 51% delle aziende non ha smesso di lavorare, circa 2 milioni di persone hanno continuato a vivere fabbriche, aziende, supermercati e consegnare prodotti. Abbiamo visto spendere 21 milioni di euro per realizzare un ospedale, nella vecchia fiera di Milano, che doveva ospitare 400 persone, poi 205 e infine 53, e inaugurarlo con una cerimonia dove incuranti delle disposizioni anti-Co-vid in centinaia hanno passeggiato sul red carpet. Il post lockdown sta riproponendo le stesse dinamiche e, al netto delle parole di quella parte di comunità scientifica che sostiene che in autunno potrebbe arrivare una seconda ondata pandemica, il presente è fatto di primato della sanità privata su quella pubblica, dell’assenza di prevenzione e, nuovamente, dal vuoto di politiche sanitarie territoriali. Non vogliamo più che burocrati regionali, di nomina politica, abbiano il potere di dirigere l’apparato sanitario. La promiscuità pubblico/privato deve finire, così come deve finire il sostegno pubblico alla sanità privata. I servizi territoriali di cura e prevenzione che negli anni sono stati smembrati andranno riattivati, rimettendo nelle mani delle comunità locali il potere di decidere a quali e quanti servizi devono esserci sul territorio.
Durante il periodo più duro dell’epidemia abbiamo rispettato, con attenzione, le norme di sicurezza per evitare la diffusione del contagio. Oggi manifestiamo rispettando le misure di tutela della salute, scendiamo in piazza per dire forte e chiaro che “non sta andando tutto bene”, per trovarci nel centro della nostra città e aprire un dibattito, confrontarci, decidere sulle nostre vite e progettare insieme un presente e un futuro che non assomiglino alla normalità ingiusta che ha provocato tutto questo.
Oggi vorrebbero scaricare le responsabilità che a titolo diverso dal governo nazionale alle sue ramificazioni locali hanno segnato il dramma sull’operato diretto di lavoratori e lavoratrici. Un passaggio e una deresponsabilizzazione inaccettabile.
Questa è una sorta di cronaca a più voci del disastro sanitario ed economico che la pandemia da virus Sars-Cov-2 ha scatenato in Brescia e Provincia. Questa è la storia di una società che rotola e cade velocemente mostrando le sue ambiguità. La fragilità sanitaria del “Sistema Lombardia” si è mostrata in tutta la sua drammaticità, così come la regionalizzazione della sanità voluta e votata nel 1997 per legge nazionale. Parlare di disastro, solamente, con un tempo passato sarebbe un grave errore, i problemi economici, sociali e sanitari stanno segnando, ancora oggi, il territorio bresciano, così come quello italiano e di ogni Paese dove il Covid-19 ha fatto cadere la maschera della democrazia dal volto del sistema dominante.
Quanto è accaduto, sta accadendo, e (sperando che non sia così) potrebbe accadere è stato raccontato in un’assemblea pubblica, in piazza Vittoria, il 27 giugno del 2020 a Brescia. Gli atti di quella giornata sono diventati lo scheletro della denuncia che il nostro “dossier” racchiude.
Nella sola Regione Lombardia sono morte ufficialmente più di 16 mila persone, oltre 35 mila in tutta Italia.
Sempre secondo i dati ufficiali si sono ammalate oltre 240 mila persone in tutto il Paese, e circa la metà nella nostra Regione. Sicuramente i numeri reali sono superiori rispetto a vittime e contagi ufficiali, sia in Italia che nel nostro territorio. L’assenza di un piano di screening, analisi e mappatura del territorio è alla base di quanto accaduto ma anche di quanto potrebbe accadere davanti ad una nuova epidemia.
Le conseguenze catastrofiche della diffusione del virus ci sono state raccontate perlopiù come una tragica, terribile fatalità. Tuttavia un numero così elevato di decessi e contagi, in particolare in Lombardia, è dovuto alla gestione disastrosa e criminale dell’emergenza sanitaria da parte delle istituzioni preposte, su tutte la giunta regionale Fontana-Gallera, nonché da un recente passato fatto di tagli alla sanità pubblica, privatizzazione del Sistema Sanitario Nazionale e smantellamento della sanità territoriale.
Non è un caso che la Regione Lombardia rappresenti il fiore all’occhiello per questi processi di svendita verso privati e i loro profitti; dalle mancate zone rosse di Alzano, Nembro e Orzinuovi fino alla strage nelle RSA (2200 i morti nelle RSA di Brescia e pro-vincia, di cui almeno il 60% direttamente per Covid-19); dalla mancata chiusura reale delle filiere lavorative non essenziali alla mancanza di tamponi; dall’assenza di dispo-sitivi di protezione individuale per personale sanitario e cittadini/e fino alla mancanza di posti nelle terapie intensive e alla sospensione dei servizi sanitari non Covid-19, per arrivare, oggi, alla mancanza di forme sufficienti di sostegno economico e sociale per chi, dopo il lockdown, è in forte difficoltà.
La pandemia ha smascherato non solo le criticità del sistema sanitario, ma in generale la violenza e l’iniquità di un’organizzazione sociale, politica ed economica che non è più sostenibile né tollerabile. Il “Lockdown” in Lombardia non c’è mai stato davvero, il 51% delle aziende non ha smesso di lavorare, circa 2 milioni di persone hanno continuato a vivere fabbriche, aziende, supermercati e consegnare prodotti. Abbiamo visto spendere 21 milioni di euro per realizzare un ospedale, nella vecchia fiera di Milano, che doveva ospitare 400 persone, poi 205 e infine 53, e inaugurarlo con una cerimonia dove incuranti delle disposizioni anti-Co-vid in centinaia hanno passeggiato sul red carpet. Il post lockdown sta riproponendo le stesse dinamiche e, al netto delle parole di quella parte di comunità scientifica che sostiene che in autunno potrebbe arrivare una seconda ondata pandemica, il presente è fatto di primato della sanità privata su quella pubblica, dell’assenza di prevenzione e, nuovamente, dal vuoto di politiche sanitarie territoriali. Non vogliamo più che burocrati regionali, di nomina politica, abbiano il potere di dirigere l’apparato sanitario. La promiscuità pubblico/privato deve finire, così come deve finire il sostegno pubblico alla sanità privata. I servizi territoriali di cura e prevenzione che negli anni sono stati smembrati andranno riattivati, rimettendo nelle mani delle comunità locali il potere di decidere a quali e quanti servizi devono esserci sul territorio.
Durante il periodo più duro dell’epidemia abbiamo rispettato, con attenzione, le norme di sicurezza per evitare la diffusione del contagio. Oggi manifestiamo rispettando le misure di tutela della salute, scendiamo in piazza per dire forte e chiaro che “non sta andando tutto bene”, per trovarci nel centro della nostra città e aprire un dibattito, confrontarci, decidere sulle nostre vite e progettare insieme un presente e un futuro che non assomiglino alla normalità ingiusta che ha provocato tutto questo.
Oggi vorrebbero scaricare le responsabilità che a titolo diverso dal governo nazionale alle sue ramificazioni locali hanno segnato il dramma sull’operato diretto di lavoratori e lavoratrici. Un passaggio e una deresponsabilizzazione inaccettabile.
Quando abbiamo lanciato l’assemblea pubblica abbiamo invitato i partecipanti e le partecipanti a prendere parola sui punti che a noi organizzatori e organizzatrici sembravano centrali:
- rilancio e riorganizzazione del sistema sanitario pubblico nazionale e territoriale con adeguati investimenti e ripristino dei presidi locali di cura e prevenzione
- adeguati riconoscimenti retributivi e professionali al personale sanitario- valorizzazione dei percorsi di ricerca e prevenzione
- diritto alla salute e alla libera scelta sul proprio corpo
- la salute non può essere al servizio del profitto di pochi. Lavoratori e lavoratrici non possono ammalarsi e morire per non fermare la produzione
- i fondi per l’emergenza devono essere utilizzati per aiutare le persone in difficoltà e non le grandi imprese, industriali o finanziarie
- dimissioni della giunta regionale Fontana-Gallera!
Clicca qui per il dossier completo
NON STA ANDANDO TUTTE BENE Brescia è una rete sociale
di varie associazioni che si occupa per il diritto alla salute e per una sanità che sia pubblica, laica, gratuita e universale.