Donatella Oliosi ci racconta la lotta di DI. A.N.A.
Presentaci la tua realtà
Di. A.N.A. è un’associazione nata per la tutela dei diritti della persona non autosufficiente, a Verona nel 2017. Lo spirito con cui è nata questa realtà è proprio quello di mettere a disposizione delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie alcuni servizi che vanno dalla consulenza e assistenza per esempio quello che può essere la procedura di presentazione del ricorso dell’amministrazione di sostegno piuttosto che del tutore, alcune modalità di compilazioni per le rendicontazioni che devono fare i tutori (aspetti giuridici e patrimoniali), ma soprattutto anche dei costi informazione su quello che sono il diritto alla cura socio sanitaria e la continuità terapeutica.
Di. A.N.A. va a coprire quel buco istituzionale secondo noi che dovrebbe svolgere ad esempio l’assistente sociale del comune o dell'asl e fornire ai familiari delle persone non autosufficienti tutte quelle informazioni che riguardano cosa si deve fare, come si deve fare, chi lo deve fare quando si ha un parente non autosufficiente.
L’associazione ha raccolto tantissime segnalazioni in merito soprattutto agli accaduti all’interno delle strutture residenziali socio sanitarie. Per cui tutta la materia che riguarda la non autosufficienza fa parte del lavoro di Di. A.N.A.
Quali sono le tre rivendicazioni essenziali della vostra lotta?
Il primo obiettivo, molto importante per le persone non autosufficienti, è quello che venga riconosciuta a pieno titolo che le rsa devono far parte del servizio sanitario nazionale. Questo per avere maggiori controlli e maggiore trasparenza.
Il secondo obiettivo è che bisogna avere chiara chi è la figura del non autosufficiente. La persona non autosufficiente che viene istituzionalizzata in una rsa è una persona malata prima di tutto, una persona che è arrivata alla non autosufficienza o la cui non autosufficienza è stata determinata da una malattia cronica molto spesso degenerativa oppure anche un incidente, quindi possono essere anche persone con una lunga prospettiva di vita. Queste persone vanno riconosciute come malati e quindi non a carico del servizio sociale dei comuni ma a carico delle prestazioni sanitarie.
L’altro punto su cui noi riteniamo importante intervenire è svolgere un’azione di revisione totale e che venga sempre garantita la consulta terapeutica. Questo vuol dire che a un paziente che si trova ad essere dimesso dall’ospadale, un paziente che fino a prima di entrare era autosufficiente ma quando esce non è piò in grado di svolgere le funzioni di prima, debba essere assicurato un percorso protetto di dimissioni.
Quali metodologie credi siano necessarie?
Quello che in queste situazioni serve tantissimo è sensibilizzare la coscienza individuale. Perché quando la persona vive il problema sulla propria pelle è più sensibile alla questione, quando non ha il problema o quando cessa di esistere di questo si disinteressa. Bisogna quindi fare un lavoro di formazione, di comunicazione molto pressante. Un’altra cosa è riuscire a coinvolgere in qualche maniera tutte le forze politiche perché sono quelle che hanno effettivamente le chiavi giuste per accedere a certi ambiti. è importante far conoscere la realtà delle cose a loro perché non ne sono a conoscenza.
Cosa ti aspetti dai congressi della salute?
Per me sarebbe già molto interessante conoscere altre realtà con obiettivi comuni, l’arricchimento di ogni esperienza è importante per ottenere risultati concreti. Quindi fare rete, perché di fronte a una dimensione di poteri forti essere in tanti è essenziale per riuscire a fare dei cambiamenti.